Che cos’è lo sharenting?

Sharenting, una tendenza sempre più diffusa fra i genitori

Uno dei temi più discussi dai genitori è quale sia l’età giusta per dare in mano uno smartphone “personale” ai propri figli. Un timore comprensibile, dato che si suppone che un bambino non abbia tutti gli strumenti per comprendere la complessità e i rischi di comunicare con altre persone. Molto spesso, però, sono i genitori stessi a non comprendere a pieno i rischi della Rete, e sono i primi a esporre immagini dei propri figli online, dal momento della nascita in poi.

Tutto quello che un tempo veniva immortalato e custodito gelosamente negli album di famiglia oggi viene condiviso, spesso senza filtri e freni, sulle bacheche dei social network. Un fenomeno che prende il nome di sharenting, neologismo nato dall’unione del verbo “to share” (condividere) e dal termine “parenting”, che potremmo tradurre liberamente come “fare il genitore”. L’accezione non è positiva, dato che il genitore che si lascia prendere la mano dallo sharenting è quello che tende a condividere troppe informazioni, non rispettando – spesso senza rendersene conto – la privacy dei figli.

Quanto è diffuso lo sharenting?

Il fenomeno è molto diffuso anche se è difficile inquadrarlo in termini numerici. Lo studio Figli “in vetrina”. Il fenomeno dello sharenting in un’indagine esplorativa, realizzato da Davide Cino e Silvia Demozzi, evidenzia come il 68% del campione intervistato pubblichi con una certa frequenza foto dei figli sui propri profili social, mentre il 30% tende a pubblicarle non solo sulle proprie bacheche, ma anche su gruppi Facebook o altri spazi virtuali meno “controllati” e filtrati rispetto al profilo personale. A giudicare dallo studio, in Italia il fenomeno sembra più diffuso per i bimbi piccoli (da 0 a 3 anni), le cui immagini sono condivise dall’86% dei genitori, e tende a calare con l’età, con il 68% dei genitori che ammette di condividere immagini dei loro bimbi dopo il quarto anno di età. In media, secondo questo studio un bambino di 5 anni sarà apparso in un migliaio di scatti postati pubblicamente dai propri genitori, quasi 20 all’anno.

Sharenting e celebrità: i figli delle star sono influencer già nella culla

Fra gli “sharenter” più attivi non possiamo che segnalare le celebrità, abituate a mettere in mostra e a monetizzare ogni aspetto della propria esistenza, compreso l’essere genitori. Pensiamo ai Ferragnez, la famosissima coppia formata dagli influencer Chiara Ferragni e Fedez: Leone, il loro bambino, è diventato un fenomeno social ancora quando era nel pancione della mamma, e da quando è venuto al mondo ha potuto godere di una popolarità paragonabile a quella dei genitori, che non hanno esitato a esporlo a milioni di follower. Non fa eccezione Mariano Di Vaio, che con oltre 10 milioni di follower è uno degli influencer più quotati sul mercato: basta dare una rapida occhiata al suo profilo Instagram per realizzare che una grossa percentuale delle sue immagini lo ritrae insieme ai figli. Non solo: i suoi figli hanno già un profilo. Certo, come viene ben specificato è la mamma a occuparsi della gestione degli account della prole, ma considerato la loro giovanissima età viene da chiedersi quanto sia positivo questo approccio e quanto sia rispettoso della privacy dei piccoli, che ancor prima di saper leggere e scrivere, diventano a tutti gli effetti dei prodotti di mercato, dei volti da spendere per incrementare la propria popolarità.

Tentati dallo sharenting: perché i genitori non riescono a trattenersi dal postare foto dei figli?

Qual è la leva che spinge molti genitori a pubblicare senza freni le foto dei loro piccoli? Se per le star è solo un modo di rimanere sempre al centro dell’attenzione, per le persone normali la motivazione principale è l’orgoglio, seguita dall’abitudine. Vedere che le foto dei pargoli sono apprezzate, ricevono like e cuoricini vari e commenti positivi galvanizza molte persone, e le spinge a pubblicare sempre più foto. Un meccanismo simile a quello che porta tante persone “comuni” (intese come persone che di lavoro non fanno l’infuencer) a pubblicare selfie o altre immagini, nel tentativo di acchiappare più like possibili e sentirsi apprezzati e amati. Non c’è niente di male in questo, ma quando si coinvolgono bambini e ragazzini, la questione diventa molto delicata. È una questione di rispetto, prima di tutto, ma anche di sicurezza: condividere senza freno foto di minorenni non è privo di rischi, purtroppo.

I pericoli dello sharenting: ecco perché bisognerebbe essere più cauti nel postare foto dei bambini sui social

Spesso non si dà troppa importanza alle foto che si condividono, ma quando i soggetti sono i figli, o in generale dei bambini, è sempre meglio riflettere con attenzione. I motivi sono numerosi, a partire dal rischio pedofilia, fortunatamente limitato. Non è da escludere che queste foto – anche estremamente innocenti – vengano infatti prese e riutilizzate da qualche pervertito e fatte circolare in circuiti illegali, magari ritoccate per appiccicare il volto di un bimbo su quello di un altro in atteggiamenti ben poco adatti. Non bisogna poi trascurare la possibilità di attirare le attenzioni di qualche pericoloso individuo, che da queste foto potrebbe trarre tutte le informazioni sufficienti a capire dove abitano i bimbi, quali scuole frequentano, cosa gli piace e cosa detestano. Tutti dati che in mano a uno stalker, o peggio, aprono scenari inquietanti.
Fortunatamente sono casi limite, estremamente rari, ma non sono le uniche conseguenze possibili. Sempre rimanendo in tema di truffatori, non si può escludere che i dati del piccolo possano venire utilizzati per furti di identità. Spesso i genitori tendono a includere anche i nomi, a lasciare indizi he possono far risalire alla data di nascita e ad altre informazioni utili a creare un falso profilo col quale creare, anni dopo, account bancari. Per non parlare di tutti quei casi in cui i nomi dei figli vengono usati coma password di account anche importanti, come l’e-mail. Secondo Barclays questo potrebbe avere un impatto economico di 676 milioni di sterline entro il 2030, più di 800 milioni di euro.
Il rischio più elevato però arriva dagli amici e compagni di scuola dei bambini che, quando cresciuti accederanno ai social network, potrebbero approfittare di queste immagini per prendere in giro i ragazzi e, nei casi peggiori, a “bullizzarli” per le foto della loro infanzia.

Sharenting e la legge: cosa ne pensano i giudici?

Diciamo subito che non esiste una legge specifica sullo sharenting, ma questo non significa che i giudici se ne lavino le mani. Ci sono già casi di sentenze che hanno dato ragione a dei ragazzi che, una volta maggiorenni, hanno denunciati i genitori proprio per le numerose immagini postate senza il loro consenso. Sono casi isolati, per ora, ma è fondamentale comprendere che la legge sulla privacy si applica anche ai propri figli e postare immagini di persone senza il loro consenso è un comportamento sanzionabile. Quando poi si ha a che fare con minorenni, le norme sono anche più stringenti. È già successo che qualche giudice intervenisse, come quando il Tribunale di Mantova ha condannato una madre che si rifiutava di eliminare dai social le immagini della figlia. “L’inserimento di foto di minori su social network”, ha spiegato il giudice, “costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line di minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia. Il pregiudizio del minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l’ordine di inibitoria e rimozione va impartito immediatamente”.

I genitori usano i social network peggio dei loro figli?

Un aspetto molto interessante che emerge dal fenomeno è che gli adolescenti oggi sembrano più attenti e soprattutto consapevoli dei loro genitori sulla materia. Comprendono meglio i pericoli e tendono a dare molta importanza alla loro identità digitale, che alla fine è un’estensione di quella reale. I ragazzi sanno che chiunque potrà accedere a quelle informazioni, compresi amici e – in età adulta – colleghi e datori di lavori. Giustamente, non vogliono che il loro DNA digitale sia “sporcato” da contenuti fuori dal loro controllo, che non hanno autorizzato e che oggi non possono rimuovere. Fortunatamente anche molti genitori comprendono a pieno il problema, come si può evincere facilmente dando un’occhiata ai profili degli “sharenter” più noti, come i Ferragnez o Belen Rodriguez: fra le migliaia di commenti postati sotto a queste foto ne appaiono parecchi di persone infastidite dalla sovraesposizione di immagini dei figli delle star.
Un aspetto che invece può lasciare perplessi è invece la comprensione del termine sharenting, che non sembra essere chiara a tutti: nonostante la parola abbia connotazioni negative, facendo una ricerca sull’hashtag #sharenting su Instagram si nota come ci siano parecchie mamme e papà che lo usano in maniera surreale, accompagnandolo alle immagini dei loro pargoli, come se non comprendessero il significato del termine. In molti casi probabilmente l’hashtag è stato suggerito dai plugin usati per aumentare la portata dei post, ma anche se così fosse pensare che ci siano genitori che sfruttano le foto dei figli per aumentare la popolarità del proprio profilo Instagram o, peggio, che ci associno hashtag a caso, senza comprenderne il significato.

Riflettere prima di pubblicare

Come abbiamo visto, per quanto si possa essere fieri dei propri figli è sempre meglio essere molto cauti nel condividere le loro immagini. Questo non significa sigillare i profili social e non postare alcuna immagine ma, come in tutte le cose, di trovare un ragionevole equilibrio. Sia sul numero di immagini condivise, sia sui contenuti di queste immagini. E no, non basta mettere una classica pecetta o una emoji sulla faccia del bimbo, anche se sarebbe una buona pratica. Bisogna fare attenzione anche a quei tanti dettagli che possono essere rilevanti. Una foto di compleanno, anche col volto oscurato, può contenere tante informazioni, a partire dalla data di nascita del piccolo per arrivare alla sua abitazione, se non si fa attenzione a eliminare i dati EXIF dall’immagine, che includono anche le coordinate di dove è stato effettuato lo scatto. Lo stesso dicasi dell’immagine del primo giorno di scuola.
Se l’obiettivo è quello di condividere questa immagini con nonni e altri parenti, che magari abitano lontano, non c’è bisogno di usare i social network: possono tranquillamente essere inviate in privato, via WhatsApp, Tekegram o altre app di messaggistica. Se poi non ci si può trattenere dal postare qualche immagine dei pargoli sul profilo Facebook o Instagram, è doveroso fare attenzione alle impostazioni della privacy, così da restringere il pubblico a una ristretta cerchia di amici e parenti.
Al di là della propria opinione sul tema, c’è una regola che dovrebbe essere fondamentale per i genitori: accordarsi su una politica comune, su cosa è lecito postare e cosa no, riguardo ai figli. Quali immagini sono accettabili, quali è meglio tenere private, quali dettagli è meglio nascondere e quali invece si considerano innocui. Anche solo discutere col partner per stabilire queste regole aiuterà i papà e le mamme a ragionare sul tema, a dargli il peso che merita, e a utilizzare in maniera più “intelligente” i social network.
Quando poi i figli crescono, perché non coinvolgerli nella discussione per capire anche il loro punto di vista? Si tratta di un esercizio utile per educare i figli a usare in maniera sicura Internet e i social network, e probabilmente eviterà qualche discussione quando i figli cresceranno e, con l’adolescenza, si ribelleranno alla sovraesposizione alla quale sono stati sottoposti durante l’infanzia.

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