Iperconnessione e sharenting: l’intervista alla psicologa Giulia Giorgi

Giulia Giorgi è una psicoterapeuta cognitivo comportamentale che si occupa di educazione, supporto all’età evolutiva e genitorialità. Ha realizzato il percorso ConnessiOFFline: un ciclo di incontri per genitori che si trovano in difficoltà nella gestione di figli iperconnessi, sempre collegati ai social, allo smartphone, alla Rete in generale. Le ho fatto qualche domanda su questi temi e, ovviamente, sullo sharenting.

La dipendenza dalla tecnologia ha subito una veloce impennata a causa del lockdown, ma non tutti i genitori e le famiglie hanno cognizione del problema. Come aiuti le famiglie da questo punto di vista?

Con ConnessiOFFline voglio mettere a disposizione le mie competenze come psicologia per fornire strumenti pratici, strategie, esercizi studiati per ogni situazione famigliare. Non è dire “NO” al digitale oppure allo smarthphone a prescindere: penso sia impossibile; io stessa, come professionista e donna, lo utilizzo quotidianamente per lavoro.

Parto dall’assunto che quando un genitore mi dice che suo figlio sta troppo connesso, non esce più di casa, sta chiuso nella sua stanza e non sa come parlargli, c’è paura di “disturbarlo” mentre è connesso, questi siano comportamenti e atteggiamenti che sottendono un clima famigliare alterato, forse problematico, o comunque un sistema in cui qualcosa, anche a livello emotivo, potrebbe essere sfuggito al genitore. Per questo “connessi offline”: impariamo a ritornare connessi a livello emotivo coi nostri ragazzi sia quando sono OFF line sia quando non lo sono. Occorre strutturare regole, modi, comportamenti per stare con loro, per fare qualcosa con loro anche quando sono nel loro mondo virtuale, per dedicare più tempo per stare “insieme”.

Qual è la responsabilità dei genitori nei fenomeni di iperconnessione dei figli?

I genitori che lasciano il cellulare e la Rete in mano ai ragazzi, senza dare regole, hanno da un lato l’illusione del controllo (mio figlio è in casa e gioca online, non esce, non ci sono pericoli…) dall’altro risponde a un’esigenza: non hanno più tempo, dopo il lavoro, da dedicare ai figli e la tecnologia è comoda, fa da baby-sitter, come la TV.

In ogni caso fare i genitori è un mestiere complicato, soprattutto da un punto di vista emotivo. Saper empatizzare con le emozioni dei figli, sentire quello che provano, comprenderli, saperli ascoltare restano compiti molto difficili e non così lontani dalle dinamiche “pericolose“ del digitale.

Dal punto di vista psicologico, c’entra anche la questione identitaria?

La pubertà e l’adolescenza sono caratterizzate dal delicato processo di definizione della propria identità e personalità: un processo fisiologico e psicologico delicato e peculiare dell’adolescenza. Ormai è risaputo come attraverso i social tutti cerchino di mostrare la propria parte migliore (il profilo giusto, l’outfit giusto, la luce giusta, il filtro che ci rende più belli o naturali…) e questo perché la realtà virtuale ci permette di comunicare agli altri un’immagine quasi idealizzata di noi per ottenere approvazione, accettazione, diventare famosi.

Questi aspetti – in qualche modo finalizzati al like e impressionare il follower – innescano l’attivazione dopaminergica insita nel desiderio e nell’eccitazione dell’attesa, alla base dello sviluppo di comportamenti dipendenti. Al di là dei comportamenti dipendenti, i ragazzi cercano se stessi online, confondendo realtà e finzione.

E cosa succede con lo sharenting?

Il genitore, che tra i compiti evolutivi di cura dovrebbe avere quello della protezione, dovrebbe essere custode dei dati personali dei suoi figli così come della sue educazione. Padri e madri si appropriano del delicato processo di definizione di un’identità “digitale” del figlio, spesso senza che questo ne sia informato o consapevole. Penso che sia dovere di un genitore soffermarsi su quanto rischioso possa essere interferire con il delicato processo di definizione dell’identità dei loro figli.

Si parla delle motivazioni che stanno alla base della tendenza allo sharenting: tra queste vi è l’appagamento narcisistico?

Queste motivazioni potrebbero essere analizzate e indagate anche in vista di una riduzione e prevenzione dei danni conseguenti.

(Per un approfondimento cito un articolo che avevo scritto per la rivista State of Mind: Facebook & Mamme Moderne: vi presento il mio bambino!)

Quando parlo ai genitori che mi chiedono come si fa ad essere “bravi genitori” parto sempre dal principio: oggi essere genitori non è più facile o  difficile di come lo è stato per i nostri nonni o genitori, ma solamente ci sono più studi a riguardo. La società è più accelerata e flessibile, più esigente e – cosa da non trascurare – si diventa spesso genitori più avanti con l’età: questo, soprattutto per le donne, si correla anche alla necessità di realizzazione personale e lavorativa che, appunto, tende ad arrivare dai 35 anni in su. I social, per alcune mamme, sono uno svago, un divertimento anche prima dell’arrivo del bambino, momento a partire dal quale possono anche divenire uno strumento di condivisione delle gioie e difficoltà della fase della gravidanza ma anche della maternità. Per altre ancora i blog hanno aperto le opportunità di scambio per creare e reinventarsi nuove attività lavorative, soprattutto e anche in funzione della necessità di dover avere più tempo per stare a casa mentre si lavora. Anche senza parlare di dipendenza da Internet, certe mamme non potrebbero fare a meno di aggiornare quotidianamente il proprio status di Facebook (o quello del loro baby) per mantenere alto l’interesse altrui su di loro o, perché no?, “ alimentare” i tratti narcisistici della personalità.

Ricapitolando: si potrebbe ipotizzare che i genitori che tendono all’overshare della vita dei loro bambini potrebbero avere una spiccata predisposizione a tratti narcisisti di personalità?

Di certo le mamme moderne tendono sempre più a sperimentare la maternità e, in seguito, la gravidanza in età più avanzata, verso i 40 anni, interpretandolo come un successo personale di cui essere orgogliose. Tra le mamme over 30, spesso, i cambiamenti fisiologici del corpo per la gravidanza sono investiti di nuovi significati. Dunque pubblicare e condividere online e su Facebook le foto del proprio corpo dopo il parto o le immagini del proprio bimbo potrebbe essere visto come un successo: “Che cosa sono stata capace di generare pur restando fisicamente perfetta e immutata”. Potrebbero essere tutti spunti di riflessione interessanti.

Parliamo di sharenting da un punto di vista evoluzionistico?

La cura, da un punto di vista psicologico più che una delle emozioni di base, secondo me è il risultato, l’obiettivo cui tende la genitorialità. Parlo di progetto educativo, inteso come insieme di funzioni di supporto alla crescita tra cui cura e accudimento, ma anche trasmissione di regole (autorevolezza) e di capacità di contenere e saper gestire i figli (anche da un punto di vista emotivo). La cura e l’accudimento riguardano il dare amore, il soddisfacimento dei bisogni fisiologici ma anche il prendersi cura, l’esserci, proteggendo i figli in tutto il corso della loro vita.

Da queste presupposti mi collego a quanto scritto nel tuo libro Sharenting. Citi alcune “catene” di post sui social da parte di alcune mamme: fenomeni  che testimoniano la ricerca di approvazione attraverso i like; questi aspetti costituiscono un’inversione di rotta della CURA del progetto genitoriale. Non si criticano le condotte di alcuni genitori a priori, ma mi auguro che chi leggerà quest’intervista possa ricordare come noi adulti, quando diventiamo genitori, siamo investiti di un ruolo educativo, di trasmissione del sapere, dare protezione, contenimento e guida: non facciamo in modo che siano i social a strapparci di mano gli obiettivi del nostro ruolo.

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